Dialogo (monologo?) della Natura e di un Americano
“Questa roccia è stata qui ad aspettarmi per tutta la vita”. La roccia in questione è quella che tiene bloccato l’avambraccio dell’esploratore Aron Ralston, caduto in fondo ad un crepaccio del Blue John Canyon; vi rimane immobilizzato 127 ore senza possibilità di uscita, fino ad una risoluzione tanto estrema quanto liberatoria.
Paradossalmente i limiti dell’immobilità del protagonista e della costrizione ambientale giovano all’ipercinetismo delle riprese di Danny Boyle. Split screen, angolazioni insolite e movimenti di macchina repentini trovano ragion d’essere nell’esplorazione dello spazio angusto e nella descrizione della degenerazione dello stato psicofisico del protagonista, fino alla caduta nell’allucinazione. La personalità di Aron, audace solitario e dunque egoista, riesce ad emergere adeguatamente dai flashback e dai dettagli vissuti nella storia (l’incontro con le ragazze, il rapporto con i “dispositivi di ripresa”, l’analisi della meccanica dell’incidente e il lucido monitoraggio della propria condizione fisica). Se tralasciamo la (facile) presenza del se stesso bambino al momento della decisione definitiva, il vero incontro di Aron con il sé più profondo avviene nella bella sequenza dell’ “auto-talk show”, perfetta sintesi tra l’ottima performance attoriale di James Franco e la tecnica registica, che sfrutta il raddoppiamento del dispositivo reso possibile dalla presenza della videocamera del protagonista. Numerose vedute dall’alto contrappongono la vastità del paesaggio alla piccolezza dell’uomo (su tutti il movimento di macchina che dal crepaccio arriva ad includere il tutto in cui si perdono le grida d’aiuto), ma è soprattutto nello stupore iniziale di Aron e nel ripercorrere gli eventi che l’hanno portato “proprio lì e proprio allora” che la forza imperscrutabile della natura si manifesta: “tutto è in continuo movimento”, dice poco prima alle due giovani esploratrici; oppure tutto può arrestarsi in un’impenetrabile fissità che sormonta la finitezza dell’essere umano. Una parte di Aron muore nel crepaccio, come evidenzia il necrologio autografo inciso sulla parete rocciosa; una parte di lui rimane letteralmente “dentro quella crepa sulla superficie della terra”, contemporaneamente monito alla natura di “animale sociale” dell’uomo e macabro monumento all’insopprimibile istinto alla vita, l’arma più potente di fronte alle avversità di un universo infinitamente più grande di noi.
127 ore [127 Hours, USA/Gran Bretagna 2010] REGIA Danny Boyle.
CAST James Franco, Kate Mara, Lizzy Caplan, Amber Tamblyn.
SCENEGGIATURA Danny Boyle, Simon Beaufoy (tratta dal libro Between a Rock and a Hard Place di Aron Ralston). FOTOGRAFIA Anthony Dod Mantle, Enrique Chediak. MUSICHE Allah Rakha Rahman.
Drammatico/Avventura/Biografico, durata 93 minuti.