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33° Premio “Sergio Amidei” – Intervista a Federico Scargiali

sabato 26 Luglio, 2014 | di Filippo Zoratti
33° Premio “Sergio Amidei” – Intervista a Federico Scargiali
Festival
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33° Premio Sergio Amidei, 18-24 luglio 2014, Gorizia

Con notevole coraggio e lungimiranza, la 33a edizione del Premio Sergio Amidei non solo ha dedicato un’intera sezione al cosiddetto horror “politico” italiano degli anni ’60 e ’70 (qualche titolo, giusto per rendere al meglio l’idea della qualità della proposta: Un tranquillo posto di campagna di Petri, Hanno cambiato faccia di Corrado Farina, La corta notte delle bambole di vetro di Aldo Lado, Salò di Pasolini) ma ha aperto le porte all’orrore italiano contemporaneo, proponendo una selezione di sette lavori indipendenti misconosciuti e sorprendenti, occasione più unica che rara di immersione nell’underground italico.

La tavola rotonda di mercoledì 23 luglio è stata l’occasione per porre qualche domanda al giovane filmmaker friulano Federico Scargiali, al termine dell’incontro con Lorenzo Bianchini, Davide Pesca, Edo Tagliavini e Ivan Zuccon.
mediacritica_ichiPer il momento nella tua carriera ci sono solo corti: si tratta di una esigenza o di una precisa volontà?
Al momento un’esigenza, quella di creare una sorta di biglietto da visita per arrivare al lungometraggio. Oltre a questo possiamo dire che è sicuramente un’ottima “palestra”. Ti alleni, ti alleni, ma prima o poi devi salire sul ring. La forma breve è sicuramente limitante da un lato ma stimolante dall’altro. Limitante perchè non c’è tutto il tempo che avresti in novanta minuti per sviluppare una storia e creare determinate situazioni. Stimolante perchè in un pugno di minuti devi riuscire a colpire nel segno.
Per i tuoi lavori usi sempre effetti “artiginali”, non digitali: perché?
L’horror è concepito per essere viscerale e non puoi esserlo con i pixel. Non so se mi spiego. Mettiamola così: il primo è un atto sessuale completo il secondo è mera masturbazione.
Chi sono i tuoi punti riferimento, i modelli che ti hanno convinto ad intraprendere l’ardua strada dell’horror?
Ho sempre fagocitato tutto il cinema di genere possibile e immaginabile. In tv c’era lo Zio Tibia, ero molto piccolo e probabilmente guardavo senza capire effettivamente cosa stesse succedendo, ma mi piaceva. Arrivarono le VHS e con loro Jorg Buttgereit e il suo amore per la morte; Henenlotter e i suoi freak; Lloyd Kaufman e i suoi fumi tossici. Tra uno spaghetto, un budello e un mandolino mi sono trovato di fronte al truculento padrino del gore Lucio Fulci per automangiarmi poi assieme a Joe D’amato. Di rilievo il gotico e il giallo orchestrati dal sommo e gigantesco Mario Bava. Oltreoceano invece scenari post-apocalittici di western urbani e perdita di sanità mentale lovecraftiana con Carpenter. Ovviamente poi sono stato infettato da Romero e dalle sue orde di morti viventi. “Lunga vita alla nuova carne!” diceva il professor Oblivion. Noi gli abbiamo dato ascolto generando Through Your Lips. E ancora: Paese del Sol Levante, Raitre, quattro del mattino. C’è un uomo che si sta infilando dei pezzi di metallo nella carne. Scopro che si tratta di Tetsuo. Cerco tutto quello che sono in grado di trovare di Tsukamoto. E questo mi porta a scoprire il mio sommo senseiTakashi Miike.
Esiste una distribuzione horror italiana oggi? L’Italia può permettersi il cinema di genere?
A conti fatti, tutti quelli che fanno horror in italia sono costretti a distribuirlo fuori, quindi se dovesse esserci una distribuzione, si nasconde molto bene. L’horror qua viene trattato come il figlio illegittimo che vuoi nascondere. Abbiamo un sacco di bravi registi, ma anche di artigiani. Per i primi si potrebbero citare tra gli altri Lorenzo Bianchini e Ivan Zuccon. Per quanto riguarda gli effettisti invece, escludendo ovviamente i nostri Mattia Vignotto e Maresca Gambino perché sarei di parte, posso dire che qua abbiamo gente come Carlo Diamantini, David Bracci e Tiziano Martella.
Il Web come biglietto da visita, canale per rendere visibile il proprio lavoro: vantaggio o svantaggio?
Credo possa funzionare, ma fino a un certo punto. Puoi dire al mondo “guardate, questo è quello che so fare”. Devi essere sicuro però che ci sia qualcuno all’ascolto. Noi di Visceravisions lo usiamo essenzialmente per i videoclip.
Esistono anche fonti extra-cinematografiche per te?
Non solo esistono, ma le trovo imprescindibili. Il cinema per diventare tale va prima di tutto scritto. Talvolta disegnato (storyboard). Quale migliore fonte allora da cui attingere se non la carta stampata? Garth Ennis (Preacher) e Joe R. Lansdale sono i due autori di cui non potrei mai fare a meno. Per quanto riguarda la musica invece un giorno mi piacerebbe fare un film sul Black Metal.
Life. Love. Regret. costituisce uno scarto rispetto ai tuoi lavori passati, sia per la cura del comparto tecnico che per quello recitativo. Il gioco è valso la candela? Stai raccogliendo i frutti sperati?
Life. Love. Regret. si sta facendo il giro del mondo attraverso i festival. Sicuramente ha dato un tipo di visibilità totalmente diversa rispetto ai lavori precedenti e posso dire che ne sono pienamente soddisfatto.
C’è qualcosa che ti piace del cinema italiano di oggi?
Dipende cosa s’intende per “cinema italiano”. Se mi parli di quello che effettivamente esce in sala o che viene prodotto con un certo budget posso dirti tranquillamente “NO!”. In maiuscolo e con il punto esclamativo. Se c’addentriamo nel genere allora lì è tutta un’altra storia.
Qual è l’ultimo film che hai visto?
Dead Snow 2: Red vs Dead, di Tommy Wirkola.
E l’ultimo film che hai visto al cinema?
X-Men – Giorni di un futuro passato, di Bryan Singer.
Un accenno ai tuoi prossimi progetti?
Risponderò al plurale, ricordando che noi siamo un team: Visceravisions. Diciamo pure che stiamo intraprendendo la strada del lungometraggio, nella speranza di non tornare più indietro.

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