XX FilmForum Festival, International Film Studies Conference, 12-21 marzo 2013, Udine/Gorizia
Che cos’è il reale?
Si è conclusa anche la XX edizione del FilmForum, dove, tra i tanti temi trattati, si è parlato pure di cinema italiano contemporaneo con la presenza, tra gli altri, del gruppo Flatform. Gruppo di artisti nato nel 2006, nel corso dell’incontro si sono soffermati a raccontare le esperienze lavorative e le tematiche che si trovano alla base dei loro progetti, proiettati integralmente in questa edizione del convegno.
I due fattori che i Flatform hanno da sempre ritenuto fondamentali per le loro opere sono una predisposizione per l’ascolto e l’attitudine alla collaborazione. Questi hanno portato sicuramente alla più facile realizzazione di progetti particolari che hanno richiesto un’indagine approfondita sulle tematiche utilizzate, toccando temi particolari. I due artisti presenti in sala hanno però voluto rimarcare il fatto che in tutti e sette i lavori finora svolti, il filo conduttore era solo uno e rispondeva al quesito: “Che cos’è il reale?”. In questo senso cercano quindi di non porre il reale solo in termini didattici, ma vogliono mettere in evidenza quello che loro ritengono un aspetto più importante e verosimile: il reale come difficoltà, differenze, contraddizioni, dove il tutto è retto dal dubbio. Uno dei primi elementi che viene alla luce è l’aspetto filosofico che i Flatform apportano ai loro lavori, oltre a quello visivo, naturalmente. Gli artisti ci accompagnano in un percorso che ripercorre la loro carriera, facendoci conoscere non solo i loro lavori, ma anche tutte le vicissitudini che si trovano dietro. Il primo progetto è del 2007, si intitola Intorno allo zero ed è frutto di un lungo viaggio (1200 Km) attraverso una linea ferroviaria. Il loro intento era quello di dare un’immagine dimezzata e speculata degli edifici (fotogramma per fotogramma viene tolto tutto quello che non li riguarda), creando così un legame tra familiare e usuale. La cosa che risalta subito, e che viene confermata anche dai successivi lavori, è che il “montaggio è soprattutto interno, anche perché il più delle volte non c’è visto che si tratta di un piano sequenza o viene usata la camera fissa”. Se quindi sul piano tecnico i principi rimangono pressoché uguali, con il terzo progetto, Domenica 6 Aprile, ore 11:42 (2008), il punto di vista si sposta sul paesaggio, che per loro è il luogo della complessità, paragonandolo alla matematica analitica. In questo caso, però, aggiungono un elemento che nei precedenti non si era ancora visto: la narrazione. Si tratta più di singoli eventi che di una narrazione vera e propria, ma questo per loro è fondamentale perché porta ad una riflessione finale data da una dissociazione di idee. Cosa che comunque viene ribatida nei lavori sequenti, in particolare in 57.600 secondi di notte e luci invisibili e in Non si può nulla contro il vento. A questo aggiungono, sia sul piano stilistico che tematico, più livelli che danno un’impronta sicuramente più complessa e riflessiva. Si tratta quindi di lavori che, oltre a un aspetto filosofico, sono costellatti da una ricerca continua di novità e sperimentazione cinematografica.