XX FilmForum Festival, International Film Studies Conference, 12-21 marzo 2013, Udine/Gorizia
Collisioni di sensi e forme
“Quello che mi interessa è la sperimentazione; ricercare una prospettiva diversa, meglio se inaspettata e inusuale, dalla quale osservare e far osservare le cose”. Nata in Italia ma cresciuta in Germania, fin dagli studi presso l’Accademia di “Media Studies” di Colonia Rosa Barba si allena agli “attraversamenti di campo” ritrovando nell’opportunità di migrare dal dipartimento di arte a quello di cinema l’impronta distintiva di tutte le sue opere future.
Spazi dai contorni disarticolati, tempi sospesi, immagini diluite in un contrasto disorientante di componenti visive e sonore: è l’universo frammentato di Rosa Barba, mondo dalle identità mutanti e pieghevoli, mucchio cromatico di punti di vista difformi, trasformativi. Con un unico centro focale: quel cambiamento incessante che informa e de-forma la materia, ne rivela le componenti costitutive fino a re-inventarne aspetti e significati. Una studiata opera di viscerale smembramento portata avanti su fronti opposti – dentro l’immagine e al di fuori di essa – per “provocare” il cinema oltre il suo linguaggio e spingerlo alla perlustrazione di ambiti artistici contigui ma (percepiti come) distinti. Lavori complessi e simbolici che sintetizzano al meglio il binomio “Cinema & Contemporary Visual Arts” della serata omonima dedicata dal FilmForum ai viaggi esplorativi della Barba, dentro il cinema e lungo le tortuosità dei suoi penetrabili confini. Perché l’atto della visione è per sua natura rivoluzionario. Osservare è perturbare: l’oggetto, destrutturato dallo sguardo e dall’azione in un insieme discreto di elementi primari, diventa altro da sé. Cambia pelle. E partorisce realtà, situazioni, persone “alternative”, microcosmi al limite dell’intelligibilità. Dall’effetto straniante di Let me see it in cui la regressione della memoria visiva è acuita dall’incontinenza della ripetizione verbale alla ripresa dall’alto, in circolarità continua ma impercettibile di The Long Road, forma artificiale su sfondo naturale. Dalle parole e frasi monche delle statue mutilate di The Hidden Conference – frammenti di vita e Storia che si disperdono tra i volti e i corpi spezzati di anime invisibili ai nostri occhi “comuni” – ai miscugli temporali e spaziali di Outwardly from Earth’s Center; dalla coreografia contrastiva uomo-macchina di Somnium alla “documentarietà” surreale di Subconscious Society, la narrazione si disperde in prassi contaminative, abbandona l’organicità del mezzo per farsi discorso sullo stesso, arte rinnovata. Espulsi dalla sintassi filmica, luce, suono, proiettori e pellicola conquistano nuovi spazi espressivi – quelli delle installazioni create dalla Barba per musei e gallerie – e in un raffinato gioco di rimandi ricercano, ostinatamente, l’ultimo approdo: quello che vede il cinema guardare se stesso. Oltre l’impasse sensoriale, oltre il limite della percezione soggettiva, dentro un’arte capace di nutrire il nostro inesauribile desiderio di “possesso” conoscitivo delle cose e del mondo.