Una generazione sodomizzata
Quando Lisa diventa vegetariana, in una puntata storica de I Simpson, nel finale trova rifugio sul tetto del Jet Market, dove Apu le confida che da lì vede a sbafo i film del vicino drive-in. E quel drive-in propone un double-feature: I Spit on your Grave e I Thumb Through your Magazines. Uno dei due titoli è inventato. L’altro no. Anzi.
I Spit on Your Grave esiste davvero, è stato scritto e diretto da Meir Zarchi in qualche giorno e con sparuti denari, è uscito in sordina nel 1978 e poi più capillarmente dal 1980, e se gli si è creata tutto intorno un’aurea di cult (tanto da essere citato pure ne I Simpson), ritagliandosi subito una propria nicchia all’interno del rape & revenge, è principalmente per aver portato il genere al suo più bestiale e profondo grado zero.
Con rape & revenge s’intende un genere estremo i cui contenuti sono esemplarmente riassunti nella sua denominazione: film dalla prima parte concentrata su stupri e sevizie (rape), seguita da una seconda dove la vittima di queste violenze trova la più sadica e sanguinosa delle vendette (revenge). Un genere disturbante (e spesso disturbato) che, vantando illustri precursori come La fontana della vergine di Bergman, ha trovato il suo apice negli Anni ’70, con pellicole come L’ultima casa a sinistra di Wes Craven, Thriller – A Cruel Picture di Bo Arne Vibenius, la saga de Il giustiziere della notte, il delirante L’angelo della vendetta di Abel Ferrara. E I Spit on Your Grave, che ha lasciato il segno non tanto per la sua realizzazione tecnica ai limiti del dilettantesco e una trama minimale (giovane scrittrice cerca solitudine in una baita dispersa nei boschi dove viene ripetutamente violentata da un gruppo di sbandati, per poi vendicarsi nel modo più sanguinoso possibile), ma piuttosto per le scene di violenza esplicita e per la tensione emotiva che riusciva a crearvi intorno.
Nel 2009, Meir Zarchi ha deciso di coprodurre il remake del suo cult. I Spit on Your Grave, per la regia di Steven R. Monroe, esce negli Stati Uniti nel 2010, e da poco è reperibile in dvd anche in Italia. La trama è sempre quella, con l’aggiunta però di un quinto stupratore, lo sceriffo della vicina cittadina, uomo di casa e chiesa dai grandi valori morali, che a prima vista sembra un facile modo per introdurre un ormai trito discorso sull’abuso di potere delle autorità. Ma il nuovo I Spit on Your Grave, di gran lunga più curato ed efficace per quanto riguarda regia, fotografia ed effettistica del suo originale, colpisce per la sua cinica freddezza, soprattutto nella lunghissima sequenza dello stupro, potente e sadica nel suo creare, disfare e rilanciare la tensione, pur senza esagerare col gore. Finché Jennifer, nuda e sanguinante, tenta una fuga impossibile arrivando a un ponte dove, stremata, allarga le braccia e con un sorriso appena accennato si getta nel fiume. Da qui, il film prende un’altra piega, lascia ogni pretesa di descrizione “reale” e imbocca la strada del grottesco: Jennifer torna dal nulla, forte, determinata, sicura, una dea della vendetta dalla mortale creatività, e con torture e sevizie sempre più elaborate, ai limiti del demenziale, compie la sua vendetta. La differenza di registro – ma non di stile, attenzione! – tra la prima parte, votata a una ricostruzione più reale possibile, e la seconda, che pare una puntata allungata di Grattachecca & Fichetto, è a tal punto sentita da spingere a porsi più di una domanda.
Che Jennifer sia realmente morta buttandosi dal ponte? Che tutte quelle torture altro non siano che un sogno, estremo e grottesco, dove la logica non sempre torna ma tutto va secondo i piani prestabiliti? Che l’immaginarsi una vendetta impossibile – rappresentazione mentale di una realtà senza limiti, l’unica dove i propri carnefici hanno quel che si meritano – sia il motivo di quell’ultimo sorriso prima del volo? Di riflesso, il facile simbolismo anti-sistema incarnato dallo sceriffo cattivo si fa ben più pregnante, e il film ne acquista in spessore politico e sociale: diventa chiave la scena dove lo sceriffo violenta Jennifer, che con l’utero ormai sconquassato chiede pietà e ottiene solo una frase sarcastica (“Don’t worry miss, I’m an ass man!”) prima di ritrovarsi (pure) sodomizzata. I Spit on Your Grave riesce così a impressionare un’istantanea della società contemporanea, dove le più comuni (e teoricamente rassicuranti) autorità istituzionali, senza giri di parole e senza metafore, non fanno altro che sbatterlo in culo alle nuove generazioni, cui non resta che l’immaginazione, anch’essa ormai violentemente pervertita da tanta brutalità.
Voluta o meno, questa visione di un presente senza scampo e senza futuro (se non in un delirio splatter) rende I Spit on Your Grave ancor più cupo, sadico e terrificante, rischiando di trasformare questo remake in un cult in grado di offuscare la fama del suo originale. Le anime sensibili, comunque, ci pensino sopra due volte, prima di pigiare il tasto play sul lettore dvd.