filmforum, Udine-Gorizia 20-29 marzo 2012
Sott’acqua
Strutture modulari, camere di compensazione e boccaporti pressurizzati sono gli elementi che caratterizzano maggiormente l’ambiente di Piattaforma Luna. Osservando questi spazi angusti, asettici, prevalentemente colorati di bianco e dove l’arredamento, quasi inesistente, è fatto d’acciaio e finalizzato a garantire soltanto l’espletamento delle essenziali necessità fisiologiche e biologiche dell’uomo, lo spettatore – certamente condizionato dal titolo – è sapientemente condotto a supporre che si tratti di un opera ambientata in una dimensione siderale ed extraterrestre.
E in effetti, ciò che l’obiettivo di Ancarani ci mostra assomiglia molto agli scenari consueti di pellicole come Solaris o 2001: Odissea nello spazio. Ma questi indizi preliminari sono stati sapientemente ideati per indurci a fraintendere il tutto ed infatti l’effetto sorpresa non tarda ad arrivare: la sala controllo alla quale gli uomini si rivolgono via radio in realtà non è il comando di una missione spaziale a Houston bensì l’equipe di tecnici che si trovano a un centinaio di metri più in alto e i presunti astronauti sono invece dei sub altamente specializzati di un sito per l’estrazione di idrocarburi dove lavorano sopportando delle condizioni di vita estreme dettate dall’alta pressione sottomarina e dall’atmosfera intrisa d’elio. Girato all’interno della camera iperbarica della piattaforma LUNA A, una struttura atta all’estrazione del gas sita nello Ionio il cui nome ha ispirato il titolo, il film si rivela un’esperienza intensa tanto per lo spettatore quanto per il regista, che ha potuto registrare soltanto nei tre giorni concessi dalla compagnia petrolchimica per non compromettere la sicurezza dell’impianto. Le suggestive immagini di quel claustrofobico ambiente subacqueo – dove l’elemento umano, dipendendo dai colleghi in superficie persino per continuare a respirare, per sopravvivere a stento è costretto ad accettare di cambiare radicalmente la propria naturale percezione dello spazio e del tempo, che laggiù nelle profondità marine a causa dell’assenza di luce naturale sembra non trascorrere mai – ammaliano, trasmettendoci anche la risolutezza del regista nel portare a termine le riprese in condizioni fisiche così avverse. Affascinato dai mestieri inconsueti, Ancarani, grazie alla sua personalissima percezione artistica della realtà, riesce a sottolinearne gli impensabili tratti poetici e decide di inserire un commento musicale alle immagini soltanto nei fotogrammi finali, quando il sub si ritrova immerso nei fondali ionici: una scelta che ricorda indirettamente The New World di Malick, dove il cineasta americano impiega un simile contrappunto di silenzio/ambiente umano e musica/natura. Un invito, forse, per l’umanità a distogliere il proprio sguardo dalla volta celeste e a rivolgerlo nuovamente sulla Terra: perché gli eroi si trovano dappertutto, non solo nello spazio.