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John Carter

lunedì 12 Marzo, 2012 | di Maria Cristina Andrian
John Carter
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Guerriero 3d
L’apertura del film John Carter è un antipasto a dir poco stuzzicante: senza darci il tempo di sistemare gli occhiali per la visione in 3D, veniamo catapultati sul pianeta Marte, chiamato Barsoom dagli indigeni.

Due navi da guerra solcano i cieli, combattendosi ferocemente, una ai comandi del tiranno Sab Than di Sodanga, e l’altra battente la bandiera azzurra del regno di Helium, ultima città libera del pianeta.
Terra, altra battaglia: l’ex capitano John Carter fugge dall’esercito che lo vuole riarruolare, nonostante la guerra tra Nord e Sud sia finita. Nascostosi in una grotta, viene in possesso di un medaglione che, in un battito di ciglia, lo teletrasporta su Barsoom. Coinvolto a forza nella guerra tra Sodanga ed Helium, John Carter deve anche affrontare una diversa gravità, che gli dona una potenza impressionante, la testardaggine della principessa heliana Dejah Thores, desiderosa di porre fine al conflitto coinvolgendolo, e gli enigmatici “messaggeri della Dea”. Il film mantiene pienamente le promesse dei primi dieci minuti: azione, battaglia contro dei veri cattivi, misteri da risolvere ed un po’ di sano romanticismo. Il 3D rende nelle scene aeree, ma nulla aggiunge ad un film perfettamente godibile anche senza occhiali speciali.
La figura del guerriero, inteso come colui che insegue nel bene e nel male il proprio ideale, è il perno della storia. Concetto esasperato nella tribù dei Tark, dove si lotta per qualsiasi cosa, mentre il resto di Barsoom oscilla tra diplomazia e sangue (tutto molto soft, è pur sempre un film Disney). Taylor Kitsch riesce a non far prevalere l’indubbia prestanza fisica sulla recitazione. Il suo Carter è malinconico, sperduto, eppure, secondo il rigido codice dell’eroe, pronto all’azione per difendere i più deboli da un convincete e spietato Dominc West, classico cattivo che mira al potere solo perché è… un cattivo, appunto. Chiamare “spalle” gli altri personaggi è quasi offensivo. Lynn Collins dà vita ad una Dejah che fonde irresistibilmente carisma e fragilità (altrimenti, Carter chi potrebbe salvare?). Brilla l’interpretazione di Willem Dafoe, trasportato sullo schermo grazie alla motion capture, nei verdi panni di Tars Tarkas, capo carismatico dei Tark, capace quasi di rubare la scena al protagonista. Una conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che questa non è una tecnica, ma una vera e propria arte.

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