DVD – USA 2008
L’essenziale è visibile agli occhi
Tutto è più semplice quando, al volante di una Honda rosso scuro, con al fianco la tua cagnolina dal pelo dorato, percorri l’America con la speranza di raggiungere l’Alaska per trovare lavoro.
Una giovane donna e una cagnolina, due amiche, unite da un legame indissolubile; queste sono le protagoniste di Wendy e Lucy, terza pellicola firmata Kelly Reichardt, prodotta nel 2008. Il film, molto apprezzato e applaudito, partecipa a Cannes nella sezione “Un Certain Regard” e poi passa al Festival di Torino (edizione numero 26), solo quest’anno esce in Italia, direttamente in dvd. La regista, dopo Old Joy, dipinge una storia – parte adattamento (da un racconto di John Raymond) e parte autobiografia (anche la Reichardt ha attraversato, con la sua Lucy, gli Usa in macchina, scrivendo film e cercando luoghi in cui girarli) – dolce, delicata, che sfiora le corde più profonde dei nostri cuori, senza indulgere a sentimentalismi mielosi e finti patetismi, ma usando un modus narrandi asciutto ed essenziale. Wendy, interpretata dalla brava Michelle Williams – conosciuta dal grande pubblico per la Jen di Dawson’s Creek, e che ha poi intrapreso una carriera più “interessante” con I’m not there, Synecdoche, Shutter Island – , che praticamente da sola regge l’intero film, parte da Portland (Oregon) per arrivare alla mitica frontiera – come il protagonista di Into the Wild -, dove tutti trovano lavoro; non è da sola, a seguirla, difenderla, coccolarla, c’è Lucy, la sua dolce cagnolina. Il viaggio è più breve del previsto, infatti la macchina della giovane si ferma in un paesino e lì, la cagnetta scompare; ed è proprio Lucy l’ingranaggio che muove la storia, a causa della sua scomparsa la vita di Wendy ha un forte contraccolpo. Il personaggio della Williams, dal volto intenso e forte, va alla disperata ricerca della sua “ragazza”, e la Reichardt la segue, segue il suo deambulare, i suoi silenzi dolorosi, che nascondono quel senso di solitudine e spaesamento dovuto alla “Mancanza” di “qualcuno”, di qualcosa, un lavoro. In questo film on the road, in cui coesistono accenti sussurrati di una loser senza speranza e note quasi “mistiche” di un paesaggio intenso e “umile”, Wendy, tutta interiorità, si muove macinando chilometri, cercando la sua piccola amica, come fosse parte di sé. Il corpo dell’attrice, femminile e sensuale, qui è tutta “mascolinità”, smagrita, quasi androgina, la sue lacrime, chiusa nel bagno di un supermercato, “dosate” e “asciutte”, danno verità e “pienezza” a un film e a un’interpretazione che punta più al non detto, al significato stesso delle immagini, che alla parola. Wendy tra homeless, supermercati, strade vuote e desolate, cerca disperatamente Lucy che è metafora di tutto ciò che d’importante esiste nella vita di un essere umano: famiglia, “casa”, affetto, protezione, “aria”. Per la compagna la giovane farebbe qualunque cosa, anche rubare, anche andare in prigione, anche mentire; e il prodigarsi di questa “pia mater” moderna stride con la durezza e la crudeltà della vita rappresentata dalla regista. I soldi che mancano, la notte passata all’addiaccio in contatto con quella Natura, benigna di giorno in compagnia di Lucy, matrigna quando si è soli e impauriti, sono emblema dell’America perduta, che non dà aiuto a quelli come Wendy: tanto è benigna con i vincenti quanto è matrigna con i perdenti. Kelly Reichardt costruisce un’opera lineare, pulita, che si modula incredibilmente sul “moaning” di Wendy, “colonna sonora” dell’intero film, lamento da cui è difficile separarsi; la regista racconta una vicenda semplice – resa unica e speciale – di una guerriera che combatte contro i suoi mulini a vento, facendo anche però il ritratto dell’America che non conta, che è in preda alla crisi economica, e dell’Umanità che non si lascia travolgere da niente e da nessuno.